Il senno del pop? Il senno è quello di Mirco Menna …
Mirco Menna è un altro di quei cantautori, forse cantautore è nel suo caso termine riduttivo, viste anche le sue esperienze in altri campi dell’arte, che non si può non intervistare e con grande curiosità all’uscita di un nuovo lavoro discografico composto da otto canzoni inedite e due bonus track. Il titolo del disco è “Il senno del pop” e, conoscendolo da un po’ di anni, credo voglia essere una sorta di depistamento, però sentiamo direttamente da lui che ha da raccontarci …
Il 3 novembre 2017, è uscito il tuo nuovo disco, sono rimasto colpito, ancor prima dell’ascolto, sia dalla copertina, il tuo volto per metà dipinto in stile Andy Warhol per metà foto in bianco e nero, sia dal titolo “Il senno del pop”. Una doppia provocazione, una doppia anima?
No, provocazione non credo… tutt’al più pubblicità ingannevole. Sai quando nelle confezioni c’è scritto “l’immagine ha solo scopo di presentare il prodotto”, ecco, qui nemmeno questo. Uno vede la copertina un po’ Roy Lichtenstein, un po’ fumetto Marvel e si aspetta magari qualcosa di più… psichedelico. Però appunto, l’altra metà della faccia è proprio la mia, al naturale, senza trucco, per nulla pop-art. Il punto sta lì, in che cosa si intenda per “pop”. Personalmente ne ho un concetto piuttosto allargato, in passato ci sono state cose che si possono senz’altro definire “pop” molto diverse tra loro.
A proposito di concetto allargato, si può dire che anche a livello di contenuto il disco sia un crogiuolo di elementi molto diversi fra loro, siamo lontani anni luce dai concept album, anzi forse è più simile ad un album di fotografie, di istantanee che rappresentano momenti diversi della tua vita e delle tue esperienze, è così?
E’ così, e ogni fotografia ha i suoi speciali colori, la sua luce, il diverso momento dello scatto, il suo soggetto, indipendente da quello a fianco.
Visto che, come hai anche sottolineato tu, i brani non hanno legami tra loro, se sei d’accordo, partirei da “Così passiamo”, il brano scelto come singolo e video di lancio. In questa canzone che parla della precarietà dell’esistenza stessa, dell’essere di passaggio in questo mondo, non sei solo a cantare, con te la jazz singer Silvia Donati e sullo sfondo un mondo che va letteralmente in frantumi. Com’è nata l’dea del duetto e quanto credi sia importante fermarsi a riflettere in un mondo che invece corre corre e in cui tutti sembriamo onnipotenti?
Riflettere e speculare sono due parole delle mie brame… scusa, mi è scappato un giochetto di parole… sugli specchi, sul considerare l’essere fatalmente specchio della vita attorno a sé. Ma a parte le battute incomprensibili, sì, credo sia importante sempre, sia obbligatorio ragionare attorno all’esistenza. Infatti, nel mio piccolo, ci ho fatto su qualche canzone, tipo questa. Quanto a Silvia Donati, sono un suo fan da anni e anni, oltre a pregiarmi di esserle amico. Ha avuto un ruolo notevole durante la registrazione di questo lavoro, c’era sempre, diceva sempre la sua. Non so se ricordi un bellissimo gruppo femminile, tra i ‘90 e i duemila, le Silhouette. Ecco, c’era lei al canto e Camilla Missio, che ritroviamo anche qui, al basso. Stiamo parlando di due gigantesse eh, così belle e minute come sono…
Già che ci siamo allora parliamo di una altro meraviglioso duetto che è possibile ascoltare in questo tuo nuovo lavoro, forse avrai già intuito, sto facendo riferimento a “Prima che sia troppo tardi”. La voce che duetta con te è una di quelle che scalda e “ruba spazio”, permettimi la battuta, si tratta di Zibba, com’è nata questa ardita collaborazione? Hai scritto questa canzone che guarda al futuro, se non con l’ottimismo di Tonino Guerra almeno con qualche aspettativa, pensando già a lui o l’idea della condivisione è nata in seguito?
È nata in seguito, per via della reciproca simpatia e stima… e questo è chiaro almeno per il fatto che è un confronto tra maschi assolutamente perdente, per me… cantare dopo Zibba, con quella voce che ha, è da autolesionisti. Ma mi piace auto lesionarmi per simpatia e stima.
Parliamo ancora di collaborazioni importanti, come quella di Gianni Coscia che con la sua fisarmonica “pennella” magicamente la canzone “Sole nascente”. Non ho usato a caso il verbo pennellare visto che il brano trae spunto da un famoso dipinto ma lascio a te l’onere di parlarne …
Ho conosciuto il maestro Gianni Coscia (che se lo chiami “maestro” si secca) ad Alessandria, nel benemerito e amato circolo L’Isola Ritrovata, poi ci siamo visti più volte. Una notte gli ho parlato di questo brano, glielo ho fatto sentire in diretta, con la chitarra, a un tavolo. È stato per me un onore, diciamo pure la parola, che abbia accettato di suonarlo con me. E che lo abbia poi suonato così come lo ha suonato, da commuoversi. “Il sole nascente” è il titolo di un’opera del pittore Giuseppe Pellizza da Volpedo, quello de “Il quarto stato”. E io sapevo che, oltre a essergli vicino per motivi di territorio, il maestro Gianni Coscia è vicino al Pellizza anche a causa delle idee che lo ispirarono.
In questo album di “fotografie”, una di quelle che amo di più, per la mia natura malinconica e triste è “Ora che vai via”, canzone che ci parla del mesto momento dell’addio definitivo quando si vorrebbe “guardare avanti quando avanti non c’è trovarsi ad invidiare il cielo a chi ce l’ha”. Per la delicatezza con cui è stata scritta e musicata potrebbe essere una canzone degli Avion Travel, davvero emozionante, in che momento è nata e come?
È figlia precisamente di un lungo momento, impossibile da evitare, di profondo sconforto. Credo che molte canzoni cosiddette “tristi” siano adatte a consolare la tristezza, per una specie di misterioso effetto omeopatico. Per quel che riguarda gli Avion Travel, beh, ti ringrazio molto del complimento.
“Vento maggiolino che fa gli occhi a calamaro / dallo scrigno del mattino schiude l’innocenza al divenire / e mostra già la fine a chi sta per partire” sono alcuni splendidi versi della canzone “Portati da un fulmine”, apripista del disco, bella, ariosa, che vien voglia di accompagnare nel canto, c’è tanta tenerezza in questa canzone dell’uomo maturo che guarda i giovani che ancora hanno molto da crescere e sperimentare. Quanto c’è di autobiografico in questa canzone?
C’è il punto di vista. Sono appunto un tizio di una certa età, l’essere ragazzo è qualcosa che riguarda la mia memoria. Oppure, al presente, mi riguardano quelli che sono ragazzi oggi, in quella difficile età, potente e confusa… mi riguardano per affetto, posso condividere la loro giovinezza, ma soltanto attraverso gli occhi della memoria.
C’è un’altra canzone che amo particolarmente, parlo di “Arriverai”, a partire da quella lunga introduzione, quasi volessi indugiare ancora un po’ prima di sviluppare il tema della canzone che mi sembra essere quello di un amore forse più sognato che mai vissuto? E’ così?
Sì, è una canzone d’amore vagheggiato, si rivolge a qualcuno che non esiste se non nell’idea. Bisogna avere molto fallito, per vagheggiare un amore con cura, serve tempo. Indugiare prima di arrivare al punto, poi, è uno dei miei schemi preferiti.
Ci resta da affrontare due tracce, una è “Il descaffalatore” un pezzo scritto su un personaggio creato per lo spettacolo teatrale “Spreco” di Andrea Segrè e Massimo Cirri, disegnato da Altan, l’altra è la title-track “Il senno del pop”, mi parli brevemente di entrambe le canzoni? Soprattutto della canzone che dà il titolo al disco, una canzone che sembra davvero voler confondere i confini tra canzone d’autore e pop, a partire dal titolo.
“Il descaffalatore” è un funzionario del regime consumista. Ne “Il senno del pop” chi parla è un soggetto potenzialmente funzionale al regime “coverista”, diciamo così. Troppo breve?
No, assolutamente, meglio lasciare all’ascoltatore il gusto di scoprire di più, piuttosto vorrei mi dicessi qualcosa su una delle due bonus-track (l’altra è “Da qui a domani”, versione in quartetto e dal vivo di un brano precedentemente inciso e pubblicato nel disco con la Banda di Avola), mi riferisco a “Chiedo scusa se parlo di Maria”, un sentito omaggio a Giorgio Gaber, non certo una semplice cover, come mai hai scelto proprio questa sua recente canzone?
Intanto perché è meravigliosa, e poi perché l’avevo già scelta a suo tempo: è il rimissaggio di una versione già uscita con Il Mucchio Selvaggio tanti anni fa. Giorgio Gaber è una persona, un artista del quale si sente molto la mancanza. Non c’è nessuno, nel mondo del pop (perché a mio parere era assolutamente “pop”) che faccia qualcosa di vagamente simile. Nella qualità certo, ma anche nei numeri, nel pubblico. Oggi non è più nemmeno concepibile.
Se sei d’accordo lascerei il nuovo disco e il tuo ruolo di cantautore, per affrontare un’altra delle tue molteplici vesti, quella di attore, che ti ha visto trai gli indiscussi protagonisti del recente spettacolo teatrale scritto da Max Manfredi, come hai vissuto l’esperienza di lavorare per Max e accanto a lui?
Oh, come sanno quelli che mi conoscono, io sono un ammiratore di Max Manfredi, ero suo fan ancor prima di cominciare a esserne collega. E quindi quando mi ha proposto di collaborare nel suo Faustus, è stata per me una bella soddisfazione, mi ci sono messo con grande gusto e impegno. Max è stato paziente con me, mi ha fatto sbagliare con calma ma alla fine siamo stati tutti contenti, direi.
Forse non te l’ho mai raccontato, ma io ho scoperto il tuo mondo musicale attraverso un mio conterraneo, un certo Davide Bernasconi, in arte Davide Van De Sfroos, che un po’ di anni fa dalle colonne di un suo blog consigliò ai suoi lettori di ascoltare un disco intitolato “Nebbia di idee” di un cantautore Mirco Menna che, a suo dire, di nebbia nella testa non ne aveva proprio, anzi … Se tu, invece, volessi invitare i nostri lettori ad un nuovo ascolto, chi suggeriresti?
Sì, ricordo bene questo episodio di Davide, mi colse di sorpresa, una bella sorpresa. Gli sono grato.
Rispetto ai nuovi ascolti, la domanda è difficile… nel senso che ci sono molti bravi giovani musicisti, cantanti, autori, davvero molti: basterebbe guardare ai vari festival e premi dedicati a questo genere di artisti emergenti per rendersene conto. Ma non voglio sottrarmi alla domanda, sebbene dirò nomi che non sono più tanto “nuovi”… al volo: Emanuele Colandrea, Giovanni Truppi, Roberta Giallo, Diego Esposito… molto diversi tra loro, molto bravi secondo me.
Vorrei chiudere così, chiedendoti cosa diresti, se fossi un negoziante di dischi (ma ne esistono ancora?) ad un potenziale acquirente del tuo disco che, colpito dalla curiosa ed originale copertina del tuo “Il senno del pop” ti chiedesse “Ma che genere di disco è questo “Il senno del pop”? Chi è questo Mirco Menna?”.
“Il senno del pop” è un bel disco e Mirco Menna uno che se lo dice da solo, ma non ha torto.
Fonte: Estatica